QUANTA SALUTE IN CENERE?
Posted by ambienti su ottobre 7, 2007
a margine ^, sito web che da Santa Maria Capua Vetere – sede di un impianto per CDR – si offre come “possibile luogo di iniziativa culturale”, con occhio attento ai problemi quotidiani locali e a quelli globali, propone una brevissima rassegna stampa e un’analisi delle Problematiche dell’incenerimento (filiera Cdr-Termovalorizzatori). Invita anche ad aderire a una richiesta di chiusura della “filiera” di incenerimento dei rifiuti, peraltro in Campania non ancora completata.
Riportiamo di seguito il testo inviatoci da a margine e suggeriamo di visitare il sito che, in particolare nella sezione dedicata all’ambiente, offre notizie e riflessioni interessanti per i lettori del nostro blog.
Indagini della magistratura (fonte Il Mattino, 1 agosto 2007)
La gestione dell’emergenza rifiuti in Campania è oggetto di indagine giudiziaria. E’ stata formulata una richiesta di rinvio a giudizio di Bassolino dai pm napoletani Giuseppe Novello e Paolo Forleo, coordinati dai procuratori Camillo Trapuzzano e Aldo De Chiara.
Reati ipotizzati: truffa aggravata e continuata ai danni dello Stato e frode in pubbliche forniture. Danno ambientale con la creazione di discariche e milioni di ecoballe.
Ecco in sintesi, le singole accuse indirizzate al governatore: Truffa per la produzione di falso cdr. «Bassolino (in concorso con altri imputati) ha provocato un danno ambientale con la creazione di discariche composte da balle di rifiuto secco, falsamente qualificato come Cdr con deterioramento di risorse naturali».
Salute in pattumiera (fonte: “Tempo Medico”, anno XLIX, n. 5, 19 aprile 2007)
Le discariche, soprattutto se abusive, provocano tumori e malformazioni. Questo sembra emergere da uno studio commissionato dal dipartimento della Protezione civile e condotto dall’ufficio ambientale dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) in collaborazione con il CNR e l’Istituto Superiore di Sanità, che ha analizzato la popolazione residente intorno alle numerose discariche nella Provincia di Napoli e Caserta, molte delle quali gestite dalla camorra. Secondo l’indagine, abitare nel raggio di un chilometro da questi siti espone a un rischio aumentato di mortalità generale, e per tumore al fegato, polmone, stomaco e malformazioni congenite del sistema nervoso e dell’apparato urogenitale. Lo studio ha mostrato, quindi, una correlazione statistica tra lo smaltimento illegale dei rifiuti in Campania e un aumento degli effetti negativi sulla salute dei cittadini. Nel rapporto, viene esaminata la correlazione di questi rischi con l’intensità delle esposizioni legate allo smaltimento dei rifiuti
Ecco i padrini dei rifiuti (fonte: “L’Espresso”, 1 giugno 2007)
Gli ultimi dati pubblicati dall’Organizzazione mondiale della sanità riguardo la Campania sono incredibili, parlano di un aumento vertiginoso delle patologie di cancro. Pancreas, polmoni, dotti biliari più del 12% rispetto alla media nazionale. E le donne le più colpite. V’è un dato, però, uno in particolare, che lascia la bocca senza saliva. L’80% delle malformazioni fetali in più rispetto alla media nazionale. Comincia così l’inchiesta di Roberto Saviano, pubblicata in un numero de “L’espresso”. Una denuncia contro tutti i padrini dei rifiuti: contro quelli della camorra; contro gli imprenditori del Nord che hanno sfruttato le occasioni di risparmio offerte dalla criminalità per smaltire al Sud le scorie tossiche; contro quelli della politica incapaci di risolvere il problema e spesso collusi con boss e aziende senza scrupoli. Scrive Saviano: “Ne hanno ricavato vantaggio le maggiori imprese italiane, negli ultimi 30 anni le discariche campane sono state riempite, le cave rese satolle, ogni possibile spazio utilizzato, la spazzatura di Napoli, non è la spazzatura di Napoli. Le discariche campane non sono state intasate solo dai rifiuti solidi urbani campani, ma sono state occupate, invase, colmate dai rifiuti speciali e ordinari di tutto il Paese, dislocati dalle rotte gestite dei clan. La spazzatura napoletana appartiene all’intero Paese nella misura in cui per più di 30 anni rifiuti di ogni tipo (tossici, ospedalieri, persino le ossa dei morti delle terre cimiteriali) sono stati smaltiti in Campania e più allargatamene nel Mezzogiorno…”. Saviano descrive anche come gli imprenditori oggetto di inchieste per le collusioni con la camorra cercano nuovi referenti politici nel centrosinistra.
Problematiche dell’incenerimento (filiera Cdr-Termovalorizzatori)
SALUTE
Numerose sono le problematiche legate al processo di incenerimento dei rifiuti, dall’ambito della salute dei cittadini e dei lavoratori degli impianti, all’impatto ambientale che la costruzione di tali strutture comporta e, in ultimo, ai costi di gestione che sono sempre altissimi. La discussione attorno a questi problemi è fin dall’inizio incentrata, da parte della stampa ufficiale, sulla difesa, con argomenti differenti, della costruzione degli impianti . Per sostenere questa posizione, tuttavia, numerosi elementi vengono portati al dibattito, spesso paradossali. I principali impatti sull’ambiente e sulla salute sono connessi:
Cdr: alle file di camion che devono scaricare (con conseguente attesa di ore e versamento di percolato che inquina le falde acquifere) , al mancato lavaggio quotidiano di cassoni e piazzali , alla carente manutenzione delle attrezzature, all’inesistenza e /o malfunzionamento di biofiltri per evitare le esalazioni moleste, alla mancata limitazione degli stoccaggi nella fossa di ricezione ( a proposito è idonea alla funzione da svolgere?), all’inesistenza di analisi relativa ai rifiuti, alla non corretta gestione delle acque reflue e dei pozzi per la raccolta del percolato, alla non installazione di un naso elettronico per la misurazione della concentrazione di esalazioni moleste.
Termovalorizzatore: all’emissioni dal camino dell’impianto e alla produzione e successiva gestione di rifiuti solidi (ceneri leggere e pesanti, scorie) che derivano dai processi di compattamento e successiva combustione. In relazione a questo problema, le aziende costruttrici affermano rassicuranti che i moderni impianti sono dotati di mezzi sofisticati di abbattimento delle sostanze tossiche.
In realtà, quello che non viene detto è che la grande eterogeneità dei rifiuti avviati ai processi di combustione permette un’ottimizzazione solo parziale delle scorie. Va aggiunto, poi, che questi “sistemi di abbattimento” determinano una trasformazione delle scorie tossiche dalla fase aeriforme a quella solida o liquida, per cui anche l’ottimizzazione delle scorie volatili finisce per creare una quantità di residui solidi ad alta tossicità che sarà necessario smaltire in seguito. Ulteriore problema, poi, spesso taciuto, è rappresentato dalla qualità del combustibile che viene inviato all’inceneritore. La quota di combustibile/rifiuto selezionato dagli impianti di Cdr è bassa e di cattiva qualità (come testimonia la chiusura, da parte della Magistratura di alcuni Cdr, ad esempio in Campania), questo significa che il “termovalorizzatore” si trova a bruciare rifiuti caratterizzati da grande eterogeneità, il che provoca all’interno della caldaia condizioni chimico-fisiche tali da originare reazioni innumerevoli e incontrollabili, i cui effetti sono prevedibili solo in parte. Questa imprevedibilità delle reazioni che avvengono all’interno della caldaia è un aspetto che viene aggravato da una sostanziale impossibilità a valutare in maniera adeguata e precisa le emissioni di un impianto di incenerimento. La valutazione, infatti, può essere effettuata sulle fasi di funzionamento “normale”, cioè quando l’impianto funziona “a regime”. Fasi interessanti da considerare, invece, sarebbero quelle cosiddette “transitorie”, le fasi cioè di avvio e di spegnimento dell’impianto, durante le quali le emissioni si modificano considerevolmente Si passa, per fare solo alcuni esempi, da una temperatura di 978°C nelle fasi “a regime” a 800 – 870°C nelle fasi di avvio/spegnimento; da una concentrazione di Ossido di Carbonio di 230 mg/mc a una di 340 – 1000; o da una concentrazione di 42 nanogr/mc delle condizioni di funzionamento “normale” a una di 1.860 in fase “transitoria” per quanto riguarda i precursori cloroorganici delle sostanze a maggiore nocività. Tali variazioni, significative per quanto concerne la tossicità per le popolazioni residenti in aree limitrofe, non vengono considerate nella valutazione complessiva poiché la valutazione dell’impianto viene eseguita su valori medi che nascondono le situazioni limite durante le quali si verifica un’emissione più elevata di sostanze tossiche. L’esposizione delle popolazioni a rischio, perciò, varia nel tempo e le persone vengono esposte a picchi di concentrazione di tossici che hanno effetti significativi sulla salute ma non vengono registrate dalle valutazioni di impatto ambientale e sulla salute. Ma questi sono solo alcuni dei tanti paradossi che caratterizzano tutta la vicenda Cdr/inceneritori. Certamente, fra di essi, quello che riguarda l’impatto sulla salute è il più clamoroso. Poche sono, infatti, le considerazioni in merito sulla stampa ufficiale, numerose le “voci” e pochissimi i dibattiti nei quali si affronti la questione dal punto di vista scientifico. In realtà sappiamo con certezza che qualsiasi tipo di impianto, anche quelli di ultimissima generazione, ha un impatto pesante sul piano ambientale e sanitario in ragione dell’enorme quantità di sostanze tossiche rilasciate nell’ambiente in forma gassosa, solida e liquida. Le più pericolose tra queste sostanze sono rappresentate dai cosiddetti POP (Persistent Organic Pollutants) come diossine e furani (in larga misura prodotti della combustione ad alte temperature di sostanze plastiche e in particolare di PVC), ma anche dai metalli pesanti (mercurio, cadmio ecc.), dal particolato atmosferico fine, dai gas acidi e dai gas serra. Queste molecole tendono ad accumularsi nell’ambiente ed in particolare nei tessuti e negli organi degli organismi superiori attraverso il processo di “biomagnificazione”. Attraverso la catena alimentare, cioè, le sostanze tossiche si accumulano in enorme quantità negli animali più grandi che si cibano di quelli più piccoli. La loro persistenza nell’ambiente è legata al fatto che non sono bio-degradabili: resistono cioè ai processi bio-chimici messi in atto dagli ecosistemi naturali per decomporli e diffondono per centinaia di chilometri attraverso un’infinità di vie naturali e artificiali (aria, acqua, organismi ecc.). La pericolosità di queste sostanze e la loro provenienza sono elementi accertati, tanto che la Convenzione di Stoccolma, nel 1972, ha indicato nel processo di smaltimento industriale una delle fonti maggiori di produzione di POP. Per quanto riguarda i metalli pesanti, invece, in uno studio recente sono state calcolate le emissioni totali da inceneritore e la percentuale che ricoprono rispetto al totale. Le emissioni degli inceneritori sono generalmente significative, rappresentando nel caso del Piombo il 20,7% del totale, del Mercurio il 32%, del Cadmio il 9%, dell’Arsenico il 3%, contribuendo, quindi, in maniera significativa alla produzione totale di metalli pesanti cancerogeni, rappresentando una vera e propria “bomba ecologica”. Il sistema più sicuro per ridurre queste emissioni è costituito dal non bruciare composti che le contengano. Questo pensiero semplice fa riferimento chiaramente a modifiche profonde del sistema di produzione delle merci che tengano conto del potenziale tossico dei materiali utilizzati. Gran parte dei metalli prima citati provengono, ad esempio, dai coloranti per materie plastiche. È chiaro come una riduzione del contenuto dei metalli negli imballaggi e un sistema di riutilizzo degli stessi, possa rivestire un ruolo importantissimo nella riduzione del danno. Gli inquinanti vengono prodotti, come detto, in forma liquida, solida, gassosa. A parte, quindi, la dispersione per via aerea, bisogna considerare fra gli “effetti collaterali” anche l’inquinamento delle falde acquifere nonché il “problema ceneri”.
Le sostanze emesse in forma solida, infatti, si dividono in ceneri di fondo (si trovano alla base della caldaia durante la combustione) e ceneri volanti, non trattenute dai sistemi di filtraggio. Le ceneri sono, inoltre, prodotti che necessitano di un sito di stoccaggio, per cui anche quando l’inceneritore funziona a pieno regime, sarà necessario costruire discariche per queste scorie. Quando, perciò, viene detto che gli impianti di incenerimento potrebbero risolvere il problema delle discariche, dobbiamo sapere che si tratta di promesse false in quanto la produzione di ceneri e scorie necessiterà di ulteriori discariche in cui stoccare questi prodotti della combustione. I sostenitori di questa filiera di smaltimento affermano che le tecnologie più moderne sono in grado di tenere sotto controllo queste sostanze. Ma anche questa è una verità parziale: la produzione dei POP e delle altre sostanze tossiche da parte degli impianti non può essere evitata; se ne può semplicemente trasformare una quota in “ceneri” (il cui smaltimento rimane alquanto difficile); mentre appunto la parte gassosa continuerà ad inquinare l’atmosfera (con l’aggravante che il particolato assume dimensioni minori e penetra più facilmente negli alveoli polmonari e in circolo).
Questo trasversale partito dei sostenitori, inoltre, forte delle situazioni emergenziali (spesso provocate ad arte e comunque dovute a decenni di incuria e di mancata attuazione di precise leggi e normative esistenti) è solito sostenere che il compattamento e successivo incenerimento riduce di oltre 2/3 il volume dei rifiuti. Anche questo non è vero: vale, infatti, solo per il rapporto tra rifiuti solidi e ceneri, e non tiene nel debito conto l’immensa massa delle emissioni gassose. Insomma: sostenere che seguendo questa strada si eliminano i rifuti è una menzogna: si tratta piuttosto di un metodo accelerato di produzione di un’infinità di molecole tossiche (le reazioni termochimiche che si svolgono all’interno degli impianti ne producono a centinaia, una minima quota delle quali è monitorabile e monitorata) generalmente molto più pericolose per l’ambiente e per la salute umana e più difficili da trattare rispetto ai rifiuti stessi. In molti paesi tutto questo è ormai chiaro e si cerca di normare in modo sempre più restrittivo la materia, così da ridurre l’impatto catastrofico di questa prassi assurda. E molti impianti sono stati chiusi negli ultimi anni per l’impossibilità di mantenere le emissioni entro i limiti permessi. Nel nostro Paese sembra non essere un problema il rischio a cui si sottopongono migliaia di cittadini.
Le categorie più a rischio sono ovviamente quelle più direttamente esposte alle sostanze tossiche emesse: in primis gli addetti agli impianti, ma anche gli abitanti nelle zone limitrofe. Queste popolazioni sono fortemente esposte a inquinanti che, in gran parte, entrano nella catena alimentare e nell’aria che si respira. Questa situazione determina sicuramente una maggiore probabilità di incidenza di numerose patologie a carico dell’apparato respiratorio e cardiocircolatorio, ma anche disturbi endocrini, patologie immunomediate (allergie ecc.), anomalie congenite e connatali, varie specie di cancro. Per quanto riguarda i lavoratori degli impianti, inoltre, la gamma delle patologie che è possibile riscontrare è molto vasta. A quelle respiratorie – che vanno dalle bronchiti al cancro – vanno aggiunti tumori del sistema linfatico (linfoma non Hodgkin), malattie cardiache, tumori dei tessuti molli (sarcoma). Gli effetti sulla salute , dunque, coinvolgono diversi apparati dell’organismo umano, avendo un potenziale nocivo che può esprimersi in chi è a diretto contatto con l’impianto ma anche a distanza. Ricordiamo, infatti, ancora una volta che quando parliamo di incenerimento parliamo di un sistema integrato di cui fanno parte sicuramente il circuito discariche – impianti per il Cdr – inceneritori ma anche il sistema produttivo. Dato che è impossibile, oggi, avere luoghi isolati, è chiaro che i territori toccati da questo circuito saranno fortemente relazionati ad altri territori, ad esempio per ragioni commerciali. La nocività degli impianti, perciò, non resta circoscritta all’area in cui l’impianto viene costruito ma si espande. Ecco perché il problema è un problema di tutti. Moltissimi studi epidemiologici documentano il notevole incremento della patologia respiratoria cronica (broncospasmo, tracheobronchiti croniche, tumori) in lavoratori e residenti nei pressi di impianti di incenerimento. Una notevole incidenza di adenocarcinomi laringei è stata dimostrata in alcuni studi italiani ed inglesi dei primi anni ’90 condotti nei pressi di inceneritori di rifiuti speciali (solventi) e di raffinerie. In uno studio epidemiologico svolto in Italia nel 1996 si documentò una elevatissima mortalità per cancro polmonare in una popolazione urbana residente nei pressi di un inceneritore. In ampi studi epidemiologici condotti in Inghilterra su circa 14 milioni di persone negli anni 1996-2000, è stato documentato un incremento significativo di neoplasie epatiche (con una mortalità del 30-37% superiore alla media nei residenti a distanze inferiori ai 7 km dagli impianti). In uno studio francese del 2000 sono stati documentati clusters significativi di sarcomi dei tessuti molli (+ 44%) e di linfomi non-Hodgkin. L’aumentato rischio di patologia neoplastica in bambini residenti nei pressi di inceneritori o di grandi impianti industriali è stato documentato in vari studi di medio-lungo periodo svoltisi nel Regno Unito tra il 1974 e il 2000. Gli effetti genotossici degli impianti furono anche dimostrati negli anni ’60 dall’aumento significativo di malformazioni congenite (spina bifida, ipospadia, palatoschisi ecc.) tanto nei figli dei lavoratori addetti agli impianti, quanto in bambini nati nelle vicinanze. Studi più recenti in Belgio e in Scozia hanno documentato un aumento delle gravidanze multiple, dei parti gemellari e delle nascite di sesso femminile in popolazioni residenti nei pressi degli impianti (specie se i genitori di sesso maschile erano stati in contatto con emissioni di diossine ed altri endocrine-disruptors
Molti studi dimostrano la notevole incidenza di patologie da esposizione a diossine (documentata da un aumento dei cataboliti urinari): cloracne (la prima patologia da esposizione a diossina nota come tale, almeno a partire dagli anni ’60: tra i lavoratori esposti ai pesticidi); diminuita funzionalità immunitaria (calo notevole dei B e dei T-linfociti, almeno in parte endocrino-mediata) epatica e renale; diabete (famoso il caso dei reduci del Vietnam esposti all’agente Orange); allergie; tumori a carico di vari organi e tessuti. Le diossine sono le sostanze cancerogene ed immunolesive più potenti mai testate. A produrle sono alcune fabbriche chimiche (processi di sbiancamento della carta, produzione di pesticidi ecc) e praticamente tutti gli impianti di incenerimento. Un’altra fonte di contaminazione è stata negli ultimi anni quella alimentare: la carne di animali nutriti con mangimi contenenti oli combusti; latte e carne di animali nutriti con fieno proveniente da campi contaminati (perché vicini a impianti industriali e di smaltimento di rifiuti). Comunque è ormai assodato che circa il 95% delle emissioni di diossina proviene da impianti di incenerimento di residui solidi urbani e di rifiuti speciali (in gran parte ospedalieri). La diossina si accumula lentamente nei nostri tessuti, si lega in modo selettivo ad alcuni recettori intracellulari e penetra nel nucleo delle nostre cellule: così può danneggiare il DNA e determinare l’insorgenza di neoplasie e malformazioni. Nonostante l’EPA avesse da decenni incluso la diossina tra le sostanze probabilmente cancerogene, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha classificato diossine e furani tra gli agenti sicuramente cancerogeni soltanto nel 1997. Cioè ben 31 anni dopo Seveso!
COSTI
Ma davvero il processo industriale di smaltimento dei rifiuti (cdr-termovalorizzatori) è la risposta più diffusa nei “Paesi avanzati”, come sostengono numerosi opinionisti e politici nostrani? Se consideriamo gli Stati Uniti d’America, scopriamo una realtà interessante quanto poco discussa. Dalla fine degli anni Trenta ai Settanta, gli USA hanno fatto un utilizzo sempre maggiore di tali impianti . Con il passare degli anni, in seguito al crescere progressivo delle conoscenze scientifiche e della capacità di mobilitazione delle popolazioni locali, è stato necessario dotarli, però, di impianti di abbattimento degli inquinanti sempre più efficienti e, per questo, più costosi. A partire da questo dato, si è registrata progressivamente, negli Stati Uniti, una loro drastica riduzione, tanto che dai 289 della metà degli anni Sessanta sono diventati 114 solo dieci anni dopo. Tale trend si conferma negli anni successivi. Dall’inizio degli anni Ottanta al 1990, infatti, furono cancellati 248 progetti di costruzione e all’inizio degli anni Novanta era possibile contare, negli USA, solamente 140 inceneritori in funzione, con una capacità di incenerimento di circa 92.000 tonnellate al giorno. Le previsioni sull’incenerimento, inoltre, che secondo fonti governative avrebbe dovuto essere del 26% entro il 2000 fu ritoccata, a seguito di tale decremento nell’utilizzo degli inceneritori, al 21%. In realtà, le percentuali reali risultarono ancora più basse: la percentuale di rifiuti inceneriti nel 1997, infatti, fu del 16%, mentre il 35% circa dei rifiuti statunitensi veniva indirizzato verso il riciclaggio. Questa tendenza viene poi confermata dai nuovi obiettivi fissati, di raggiungere il 50% del riciclaggio entro il 2000, segno inequivocabile che un’epoca, quella dell’incenerimento come “soluzione finale” era finita. Il Wall Street Journal, nell’edizione dell’11 Agosto 1993, forniva una serie di spiegazioni interessanti riguardo la progressiva marginalizzazione del ruolo dell’incenerimento negli USA. Argomento principale, cui i cittadini americani sono particolarmente sensibili, quello dei costi.
L’uso di cdr/inceneritori, infatti, sarebbe secondo le stime del tabloid americano un vero e proprio disastro, il che spiegherebbe il dietrofront delle amministrazioni pubbliche.
Sempre secondo il “Journal”, gli organismi pubblici che hanno incoraggiato la costruzione degli impianti hanno posto poca attenzione agli aspetti economici della questione, costringendo i contribuenti a pagare migliaia di dollari in più all’anno per il trattamento dei rifiuti. Il costo medio del trattamento dei rifiuti tramite incenerimento, infatti, è di circa 56 dollari a tonnellata, il doppio del costo medio del trattamento in discarica. La gestione di questi impianti, insomma, è stato un disastro economico, sapientemente gestito a proprio vantaggio dalle compagnie private che gestivano gli stabilimenti.
Agli inizi degli anni Ottanta, gli USA furono oggetto di una forte campagna di informazione sulla mancanza di spazi per la costruzione di nuove discariche il che, a fronte del progressivo aumento della produzione di rifiuti, voleva dire trovare una soluzione rapida e che ovviasse a questa carenza di spazi. Tale soluzione fu intravista nella costruzione degli impianti , come unica via.
Quell’emergenza fu fronteggiata in maniera intelligente dalle compagnie di gestione degli impianti, che proponevano alle amministrazioni locali contratti in cui si costringevano i governi locali per tutto il periodo di attività degli impianti (circa 20 anni) a garantire quantità fisse di rifiuti da trattare nei cdr/inceneritori oppure a pagare esose penali. Il tutto, ovviamente, a scapito del riciclaggio e delle politiche finalizzate alla riduzione della produzione di rifiuti.
Tale emergenza, perciò, risultò essere una vera e propria “manovra” realizzata ad arte dai produttori di inceneritori per facilitarne la diffusione.
Nel nostro Paese, a distanza di anni, viene riproposta una strategia simile per imporre gli inceneritori come soluzione alla “questione rifiuti”. Tramite l’utilizzo dei media, infatti, trasformando il nome “inceneritori” in quello più rassicurante di “termovalorizzatori”, questi impianti vengono fatti passare per la panacea di tutti i mali, essendo in grado di risolvere tutti i problemi del ciclo dei rifiuti, dall’impatto ambientale delle discariche agli interessi mafiosi fino alla riqualificazione del territorio e ai problemi occupazionali.
Anche nel nostro Paese, in realtà, gli impianti rappresentano un disastro economico i cui costi di gestione non potranno essere coperti dalla vendita dell’elettricità prodotta.
L’impianto proposto per Genova, da 800 tonnellate al giorno, ricaverebbe con la vendita dell’elettricità 16 miliardi di vecchie lire, per un costo complessivo di 23 miliardi necessari alla gestione ordinaria dell’impianto. Il problema delle ceneri, inoltre, non è ancora risolto visto che il tanto sponsorizzato inceneritore di Brescia è costretto a inviare a pagamento le ceneri che produce alle miniere di salgemma tedesche, unico luogo sicuro per abbatterne la tossicità.
Anche in Italia, inoltre, come negli USA, il pareggio economico degli inceneritori dovrebbe essere raggiunto facendo pagare al contribuente 900 lire a chilowattora l’elettricità prodotta con i rifiuti, a fronte delle 300 lire pagate per l’elettricità prodotta con carbone e petrolio. I conti parlano chiaro, si tratterebbe di una tassa aggiunta sui rifiuti con la quale il contribuente italiano manterrebbe l’inceneritore.
S.Maria C.V.-CE-(sede di cdr) 06/10/07
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