Continuano ad arrivare notizie di arresti di pirati dei rifiuti. Ieri quattro cinesi sono stati sorpresi dai carabinieri della compagnia di Nola mentre scaricavano 40 quintali di robaccia sotto la carreggiata della Tav a San Gennaro Vesuviano, nel napoletano. Sono finiti in manette per violazione dell’art.6 del decreto-legge 172 ^. Il capintesta sembra che fosse certo Zhang Li’, 48 anni, titolare di un laboratorio tessile clandestino a San Gennaro. Gli 80 sacchi scaricati dal quartetto contenevano materiale di scarto della lavorazione di capi di abbigliamento (stoffe di vario genere, pellami, cellophane, plastica e carta) classificabile come rifiuto speciale. I carabinieri, guidati dal capitano Gianluca Piasentin, hanno inoltre rilevato nel laboratorio: sfruttamento di manodopera clandestina, violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, gravi carenze igienico-sanitarie.
Com’è possibile che si facciano certe scoperte solo in questi giorni? I responsabili dei controlli, in particolare quelli degli enti territoriali – vigili urbani, addetti delle polizie provinciali – per i rifiuti ormai da un pezzo avevano il dovere di sapere. In realtà spesso sapevano, oppure erano, sono, tutti incapaci. Perché hanno usato tanto di rado gli strumenti di legge che già esistevano ^ per intervenire?
I comuni cittadini quando hanno visto e intuito qualcosa hanno solo potuto fare qualche denuncia caduta spesso nel vuoto. Da scoraggiarsi, a volte da avere paura.
Per capire quant’è grave nell’emergenza rifiuti la questione del “sommerso”, spesso intrecciato alla criminalità organizzata, alla camorra, può essere utile il chiarissimo scritto di Antonio Pastena su La chimica dei rifiuti campani ^. Pastena era riuscito, da scienziato, a rendersi ben conto della situazione, ma la sua denuncia, come tante altre, era stata inutile.
Le autorità politiche, locali e statali, hanno preferito far finta di niente, non affrontare seriamente gli sporchi nodi dei rapporti tra l’emergenza rifiuti e le attività produttive del “sommerso” campano. Come se certi agglomerati di materiali strani e di tossicità, ai bordi delle strade, nei cassonetti, nelle discariche, si potessero spiegare solo con i normali rifiuti domestici.
Bisognerà vedere se ora gli arresti serviranno solo per uno show propagandistico, per nascondere i nuovi errori di Bertolaso e del governo, o se si comincerà davvero ad affrontare il problema dell’imprenditoria clandestina. Al momento sembra soprattutto teatro: le notizie più clamorose sulle operazioni in corso hanno riguardato qualche fesso incivile, qualche operaio, qualche rom, qualche cinese, quasi tutti dei disperati.
Ancora non s’è sentito dell’arresto di qualche boss-imprenditore. Perché a ben vedere la cattura dell’ “imprenditore cinese”, nella notizia sopra, si direbbe una mezza bufala. Sarà un delinquente, d’accordo. Ma per chi lavorava? E’ il prestanome di qualcuno? In quale rete piazzava la sua merce? Se non si accerta questo, passata la bufera qualcun altro ricomincerà poco più in là.
Il privato ignorante, che abbandona un materasso o uno scaldabagno, lo si poteva dissuadere con una multa salata – lo avrebbero permesso le norme già esistenti – tanto meglio se poi gli si indicava un’isola ecologica dove andare a scaricare la prossima volta. Per gli altri, per quelli con i furgoni pieni di avanzi del “sommerso”, è una storia diversa: lì si tratta di “affari”. Che putroppo potrebbero trovare la via per incanalarsi verso gli annunciati inceneritori, facendo poi uscire dalle ciminiere sostanze ancora più tossiche di quelle prevedibili. Come a volte sono riusciti a finire, per vie traverse, dentro discariche “ufficiali”.
Dopotutto nei primi anni novanta fu un boss della camorra a esortare i suoi uomini: “Cari guaglioni, se voi costringete quei contadini a vendermi i terreni, io costruisco un inceneritore col quale brucio tutti i rifiuti. È questo il business del futuro, credete a me che ne capisco”. Come è scritto nelle carte della magistratura, secondo le testimonianze di un collaboratore di giustizia, e come ha ricordato Paolo Chiariello nel suo libro Monnezzopoli ^.